giovedì 16 gennaio 2014

10 domande a Simone Carletti - Vincitore del Premio Crawford 2013

Quest’oggi ospitiamo con grande piacere il vincitore della prima edizione del Premio Letterario “Francis Marion Crawford”: Simone Carletti.
Con l’ottimo racconto Non è nulla Simone è giunto tra i dieci finalisti del concorso, dedicato a opere di genere horror, e ha poi meritatamente conquistato il primo posto (qui potrete saperne di più).
Avendo fatto parte della giuria che ha valutato le 97 opere giunte, possiamo affermare che la qualità di Non è nulla è talmente notevole che già alla prima lettura non abbiamo avuto dubbi: meritava il massimo dei voti. Se poi è riuscito a spiccare tra i dieci finalisti, si vede che non ci sbagliavamo troppo…


Simone Carletti è nato a Roma nel 1978, è giornalista professionista dal 2007, e dal 2012 a oggi ha raccolto diversi riconoscimenti letterari: finalista al Premio Giallo Mensa 2012, segnalato al Premio Algernon Blackwood 2012, finalista al Premio Polidori 2013. Suoi racconti sono presenti in diversi volumi editi da Delos Books, in Natale e dintorni (Alcheringa, 2013) e nelle prossime pubblicazioni Horror Polidori, Vol. 1 (Nero Press), Il magazzino dei mondi 2 (Delos), Asylum100 (St Books).
Il racconto vincitore del Premio Crawford, Non è nulla, sarà inserito all’interno del romanzo L'urlo bianco di Antonio Ferrara, in corso di pubblicazione con Il Foglio Letterario.
E ora facciamo conoscenza con Simone…


#01
Altrisogni: Il tuo racconto Non è nulla, vincitore del Premio Letterario “F.M. Crawford”, è davvero ben riuscito: angosciante, pieno di ritmo, non molla la presa per un attimo. Senza svelare troppo – per non togliere la sorpresa a chi non lo ha ancora letto – ci spieghi un po’ quale è stata la genesi “intima” di questa opera horror? 

Simone Carletti: Innanzi tutto vi ringrazio per gli apprezzamenti. Ciò che più mi premeva trasmettere con questo racconto era il senso di impotenza e angoscia che un genitore, e in particolare una madre, prova quando deve affrontare una situazione di pericolo improvvisa trovandosi distante dal proprio figlio. È una sensazione logorante, che mette a dura prova la solidità mentale di un individuo. Ho scritto Non è nulla quando la mia bambina aveva più o meno la stessa età della figlia della protagonista del racconto, per cui c’è molto di autobiografico, come spesso accade nei miei scritti.


Non è nulla è stato integrato nel romanzo
di Antonio Ferrara L'urlo bianco
(Il Foglio Letterario, in uscita).
#02
A.: Quali sono le tue maggiori fonti di ispirazione: cinema, letteratura, musica, fumetti, serie TV…? E gli autori?

S.C.: Tutte quelle citate e altre forme di arte ancora, quali la pittura e la fotografia. Amo tutto ciò che ha a che fare con l’orrore, il mistero, la fantascienza e il fantastico. Ma forte influenza su di me ha anche la realtà, quella che vivo direttamente o quella che conosco e studio attraverso il mio lavoro o in generale attraverso libri e quotidiani. I miei autori preferiti sono Lansdale, King, McCarthy, Simenon, Sepulveda, Tolkien, Marquez, solo per citarne alcuni, e poi fumetti come Dylan Dog, le serie tv Twin Peaks e The Walking Dead, i film di Tim Burton, la quadrilogia di Alien e tutto il cinema horror, sci-fi e fantasy. In questo senso sono davvero un onnivoro.


#03
A.: Sei un giornalista professionista, quindi sei abituato a lavorare con le parole. Ma scrivere narrativa, come hai detto tu stesso in una precedente intervista, è qualcosa di molto diverso dalla scrittura giornalistica. Quale tipo di emozione ti crea metterti alla scrivania per affrontare l’ideazione di un racconto?

S.C.: Scrivere da giornalista è insieme complicato e appassionante: devi essere chiaro, sintetico, intrigante, trasparente e porti come principale obiettivo la comprensibilità da parte del lettore e la capacità di interessarlo e informarlo allo stesso tempo.
L’approccio con la scrittura narrativa, soprattutto quella di genere, è, a mio parere, più sciolto: ci sono meno gabbie a tracciare il cammino e ci si può sbizzarrire con la fantasia e con il linguaggio che si utilizza. È dunque un’emozione diversa, per certi versi più forte, liberatoria. Per me scrivere racconti o lavorare a un romanzo è come sorseggiare un brandy dopo un pasto abbondante: una vera delizia per il corpo e per la mente.


#04
A.: Qual è la parte che ti piace di più dello scrivere narrativa: costruire la trama, sviluppare i personaggi, scrivere i dialoghi…?

S.C.: Mi piace molto il momento della ricerca, soprattutto quando lavoro a un racconto di ambientazione storica. È una fase di grande arricchimento, al di là dei risultati che poi si raggiungono. Scrivere dialoghi è molto divertente. Quando vengono bene, con facilità, si ha come la sensazione di scivolare su un fiume in piena. È però anche complesso: per ottenere risultati migliori lavoro tanto sulla costruzione dei personaggi, sulle loro passioni, sulle caratteristiche che li contraddistinguono. Per questo mi aiuto spesso creando delle schede personali che mi aiutino nel tratteggio dei personaggi.



365 racconti sulla fine del mondo
(Delos, 2012) contiene il racconto
di Simone Carletti Dove sono?

#05
A.: Cosa fai dopo aver concluso la prima stesura di un racconto o romanzo? Lavori molto sulla fase di editing?

S.C.: In genere scrivo di getto la prima stesura. Poi comincia la fase di “pulizia”, quella per me più impegnativa e creativa di tutto il processo narrativo: aggiungo, o più spesso taglio, sposto frasi, personaggi, parti intere. Possono volerci poche ore o molti giorni, a seconda del racconto o del romanzo cui sto lavorando. Mi piacerebbe avere molto più tempo da dedicare all’editing, ma tra lavoro e famiglia mi ritrovo spesso a lavorare in piena notte o nei weekend e mai quanto vorrei.


#06
A.: Cosa ne pensi dell’attuale panorama editoriale italiano legato alla narrativa di stampo fantastico?

S.C.: Non sono di certo un esperto, credo però che se uno unisce in sé un po’ di talento, tanto impegno e grande dedizione, i canali per arrivare alla pubblicazione li riesce a trovare. Personalmente ad aprirmi gli occhi sul panorama editoriale italiano, fantastico e non, è stato il forum della Writers Magazine Italia, una vera fucina di creatività e possibilità concrete per scrittori emergenti.


Il fiume della vita, di P.J. Farmer,
è il primo volume del ciclo del
Mondo del Fiume, edito da Fanucci.
#07
A.: Da bambino quali storie ti entusiasmavano? Hai delle saghe o dei personaggi che ti sono rimasti nel cuore?

S.C.: Ho iniziato a leggere quando ero molto piccolo, grazie ai miei genitori che mi hanno trasmesso l’amore per i libri. In particolare mio padre mi ha introdotto alla fantascienza: ricordo ad esempio la scoperta di Tolkien e del mondo letterario del Signore degli Anelli, oppure del ciclo del “Mondo del fiume” di Farmer, un capolavoro, o tutti i volumetti di Urania che mio padre collezionava e che io spulciavo come veri e propri tesori. Da mia madre invece arriva l’amore per i classici, l’opera dell’immenso Simenon e il genere giallo-thriller. La predilezione per l’horror puro, che attualmente è il genere che più mi rappresenta, è avvenuta invece incappando da giovanissimo in It di Stephen King, per me un must assoluto. Non l’ho più abbandonato, e con lui molti altri autori di paura.


#08
A.: Quanto è importante secondo te la disciplina per uno scrittore, o per un’aspirante tale?

S.C.: Non è importante, è fondamentale. E questo l’ho capito bene in questi ultimi anni, quando il mio approccio alla scrittura narrativa è diventato più “adulto”. Senza la costanza, l’impegno, il sudore e le delusioni, non si ottiene alcun risultato. Disciplina vuol dire anche umiltà e confronto: leggere tanto e studiare le tecniche dei grandi autori o degli amici che condividono con te la stessa passione è di grande aiuto per migliorarsi.


#09
A.: Molti autori vanno in crisi quando devono ideare i titoli delle loro opere. Per te è un problema? Che sistema usi, se ne hai uno?

S.C.: Questa domanda mi fa sorridere, perché – e so di fare qualcosa di non proprio “ortodosso” – io parto sempre dal titolo. Quando inizio a scrivere ho già in mente dove voglio andare a parare, per cui il titolo viene da sé. Credo sia un’eredità del mio lavoro da giornalista, in cui capita spesso che la titolazione sia più importante del contenuto.


#10
A.: Stai per diventare di nuovo padre. Alla luce del prossimo evento, con che animo rileggi il tuo racconto?

S.C.: Sono già padre di una meravigliosa bambina di tre anni e, come dicevo prima, è stato proprio l’amore che mi lega a lei ad aver ispirato il racconto Non è nulla. Ora non mi resta che fare altrettanto con il maschietto che arriverà a maggio e buttare giù un altro racconto horror! A parte gli scherzi, i figli possono essere una grande fonte di ispirazione per scrivere storie, o quanto meno possono essere il motore che accende la voglia e il desiderio di crearle.

Ringraziamo Simone Carletti innanzitutto per averci trasmesso forti emozioni con la sua opera, e poi per essersi lasciato intervistare docilmente... Attendiamo le pubblicazioni di prossima uscita e ci auguriamo di poterlo rivedere sulle pagine della rivista Altrisogni!

3 commenti:

  1. I bambini stimolano la fantasia e il mondo diventa migliore.

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  2. Non c'è dubbio: i bambini - e in particolare i figli - sono un elemento importantissimo anche per chi scrive. Osservandoli e interagendo con loro, volendo loro bene, impariamo tantissimo: a guardare e analizzare la realtà con occhi molto più sinceri e diretti, per esempio, ma anche a dare più spazio alla fantasia... o a un "diverso tipo" di fantasia, oserei dire "più fantasiosa".

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