La foto vincitrice, su Altrisogni n.4 e D&N n.11 |
Giuseppe
Agnoletti:
Era una vecchia casa fatiscente, dico era perché adesso è stata buttata già e
ricostruita in maniera simile, ma non uguale a prima. Una di quelle antiche
dimore che ti aspetti di trovare nei racconti gotici. Si trova a Forlì, ai
limiti della città, ai margini della via Emilia verso Bologna. Io sono
decisamente attratto dalle case vecchie, esercitano su di me un fascino
incredibile. Credo sia colpa della mia venere in cancro e in quarta casa, che
ne potenzia il significato. Chissà?
Sì, era tanto che
volevo fotografarla. E quando mi sono deciso, lì davanti ho trovato il gatto!
Fantastico, come se ci fossimo dati un appuntamento. Il resto è venuto da sé.
Una serie di scatti e poi il lavoro di fotoritocco.
La casa in
rovina, il gatto: ecco un efficace omaggio a E.A.Poe, La rovina della casa degli Usher e Il gatto nero.
Y.A.: Quali mezzi utilizzi per praticare la tua passione per la
fotografia? Quali macchine prediligi (digitali o meno) e quali software/sistemi
operativi?
G.A.: Una volta avevo
due corpi Nikon reflex e relativi obiettivi. Sviluppavo il bianco e nero in
casa e leggevo quattro o cinque riviste di fotografia al mese. In seguito, a
causa dei risultati che non mi soddisfacevano, ho lasciato perdere tutto.
Poi, col tempo,
è venuto fuori il mondo del digitale e io sono tornato ad appassionarmi. Il
motivo è che anche con attrezzature minime e un po’ di creatività si possono
ottenere discreti risultati, a costo zero e con estrema velocità. Voglio una
foto virata seppia? Un tempo avrei dovuto prepararmi un bagno apposito nel
quale immergere l’immagine. Oggi è sufficiente un rapido clic. Inoltre posso
avere un controllo assoluto su toni, dettaglio, contrasto e quant’altro si
voglia dell’immagine.
La mia
attrezzatura è minimale. Una nikon L18 da appena 8 mega, una Olympus, presa da
pochi mesi, da 14 mega e dotata di un buon obiettivo zoom 24-300 mm. Sono
ambedue macchine digitali compatte. Mi manca la qualità delle reflex o delle
mirrorless, ma spero in futuro di potermi attrezzare.
Per il
fotoritocco uso Paint Shop Pro, software meno potente di Photoshop ma che
conosco abbastanza bene: so cosa ricavarne e come farlo.
Y.A.: Dove possiamo vedere online altri tuoi lavori fotografici o leggere altri tuoi racconti?
G.A.: Non ho un sito
mio. Ci ho pensato, ma dovrei dedicargli tempo e poi sono abbastanza
introverso. Dovrei spendermi un po’ di più allo scopo di promuovermi, ma sono
anche pigro; sempre venere in cancro?
Fotografie ce ne
sono poche in giro. Qualcosa si può vedere su Scheletri.com e sul Forum di Nero
Cafè. Per i racconti la situazione è diversa. Se si spara su un motore di
ricerca il mio nome e cognome si riescono a vedere diverse cose. Altri racconti
sono presenti su ebook e su antologie cartacee. All’inizio dell’anno ho vinto
(a pari merito) il concorso Short Kipple, dal quale dovrebbero essere stati
realizzati due ebook, uno coi due racconti vincitori e uno con i dieci
finalisti, nei quali ho piazzato tre racconti.
Y.A.: Il tuo racconto è di forte impatto e molto commovente. Le
descrizioni sembrano decisamente personali. Al di là, ovviamente, della
conclusione (che non sveleremo in questa sede), c'è qualcosa di
"autobiografico" nei luoghi e nei personaggi descritti?
G.A.: Ecco, vedi,
torniamo alla casa, che anche in questo caso diviene luogo centrale della mia
creazione. Una vecchia casa, ovviamente.
Il tocco
autobiografico è questo, non altri. La casa come luogo di raccolta di emozioni,
di personaggi, di memorie.
Sì, il racconto
è commovente. Ho scritto alcuni racconti che quando li leggo a voce alta
cercando di immedesimarmi mi fanno un certo effetto, a me che li ho scritti e
che li so quasi a memoria. Questo è uno di quelli.
Cerco spesso di
tenere a mente il consiglio di Stephen King nel suo On Writing: quando il lettore è avanti nella lettura e si è
assestato nella storia, ecco, allora cerco di dargli un bel colpo e di
strizzolargli il cuore. Naturalmente le parole non sono queste, ma il senso sì.
Y.A.: Cosa significa per te scattare fotografie o, se è per questo,
scrivere? Quali differenze e quali analogie percepisci, a livello personale e
artistico, tra questi due "media" narrativi?
G.A.: Sono per natura
un “creativo”, per me è fondamentale esprimermi. Così scrivo, fotografo, suono
la chitarra e un tempo mi interessavo anche di astrologia. Diciamo che la
scrittura la pratico con maggior intensità e applicazione, pigrizia
permettendo.
Si tratta di due
linguaggi diversi, certo, ognuno con le proprie caratteristiche e peculiarità.
Nelle foto si propone una visione della realtà. In un racconto, attraverso un
codice (la scrittura) si permette al cervello del lettore di creare dentro di
sé immagini, suoni, odori, emozioni, sentimenti e tutta una serie di cose che chi
scrive prepara ad arte.
Direi che
scrivere è forse una cosa più completa, senza per questo nulla togliere al
fascino e all’impatto emotivo che certe immagini riescono a dare.
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