Ma Michele Tetro non è "solo" un saggista specializzato in fantascienza e fantastico: è anche uno scrittore sci-fi che ha ottenuto i suoi primi riconoscimenti in giovanissima età, ed è stato un appassionato videomaker...
Ovviamente dedito al genere fantastico.
Abbiamo voluto scambiare con lui due "chiacchiere sci-fi"...
Michele Tetro: Galeotto fu "2001: odissea nello spazio” e mio padre che mi portò a vederlo al cinema quando avevo quattro anni… è iniziato tutto così. Poi in TV arrivò “UFO”, con il comandante Straker, “Spazio: 1999”, con il comandante Koenig, e “Il Prigioniero”, “Star Trek” (conosciuto però per la prima volta nei fumetti degli Albi Spada), “Le avventure dell’astronave Orion”. Percorso programmatico per tutti coloro che si appassionarono di fantascienza, nati nel 1969 o giù di lì. Vincolante fu anche l’apporto dei fumetti Marvel, devo dire. Su di me la fantascienza ha avuto un effetto totalizzante, direi quasi vampirico. Ne sono stato subito dipendente. Grazie a essa e alle sue fascinazioni diventavo anch’io automaticamente “affascinante” di fronte ai miei amici, era facile instaurare rapporti. Da quella tuta spaziale rossa, vista in “2001”, non sono più uscito.
Un numero di OMNI, agosto 1983. |
A: Come hai fatto a pubblicare i tuoi primi racconti e saggi su rivista?
M.T.: Dunque, ho fatto una scelta: o faccio il fumettista o lo scrittore. Iniziando dalla prima opzione, fin da piccolissimo ho prodotto fumetti su fumetti, con storie e personaggi da me inventati (a volte pure “presi a prestito” da film o serial che amavo). Ma per fare seriamente questa professione ci volevano gli studi giusti. Mi piaceva molto scrivere, così parallelamente iniziai a buttar giù le mie trame, prima sui classici quadernetti a quadretti, poi, affascinato dalla macchina da scrivere, su più consoni fogli bianchi. Quando uscì nelle edicole la versione italiana della celebre rivista statunitense OMNI (che conoscevo poiché vista in un’immagine della Grande Enciclopedia della Fantascienza, un’opera su cui mi sono formato nonostante le sue gigantesche cappellate), magazine che univa scienza e narrativa fantascientifica, cominciai a seguirla e presto mi balenò l’idea di inviare i miei primi racconti, anche ispirato dalla figura lungimirante e poco convenzionale del suo direttore responsabile, il giornalista Gian Franco Venè.
Mi hanno preso in giro in parecchi, allora, per quest’idea balzana… insomma, un bambino di 12 anni che pretende di pubblicare con i grandi nomi della SF mondiale… assurdo! Ho inviato una lettera un po’ provocatoria per aprirmi la strada (“non cestinatemi solo perché ho 12 anni!”), mi hanno risposto altrettanto provocatoriamente (“A bello, qui non si cestina nulla, invia e ti diremo!”) e il mese dopo ero in copertina, definito “scrittore prodigio”, con un mio racconto all’interno… accanto a quello di Stanislaw Lem, che era già il mio scrittore preferito! Vollero portarmi in televisione, a “Domenica In”, ma c’erano ancora problemi sul fatto che fossi minorenne… così mi dirottarono su Rete A, intervistato non da Pippo Baudo ma da Guido Angeli. Fu un inizio folgorante ma anche poco auspicabile per un esordiente, in un certo senso. Troppo in una botta sola, e per un’età ancora immatura. In seguito, dopo che la rivista chiuse i battenti, ho dovuto ricominciare da capo, con i concorsi letterari e via dicendo. Gianfranco De Turris selezionò un mio racconto per “L’Eternauta”, un altro era già apparso in un volume della Perseo Libri… ma poi trascorsero un bel po’ d’anni prima che potessi firmare il mio primo libro di saggistica cinematografica, nel 2000, assieme ai miei soci Gian Filippo Pizzo e Roberto Chiavini.
A: Eravamo agli inizi degli anni ’80 e le cose erano sicuramente molto diverse da oggi… Era più facile, secondo te, avvicinarsi alla pubblicazione?
M.T.: Non saprei, davvero. Credo di aver avuto una bella fortuna, mista a un po’ di sfacciataggine e a un minimo di talento. Ma sicuramente c’era più professionalità. Una giusta selezione naturale. Editori che sapevano cosa voleva dire fare gli editori, e scrittori che sapevano cosa voleva dire fare gli scrittori. Un testo, per originale che fosse o anche no, era un testo quantomeno leggibile. Oggi, complici le nuove tecnologie informatiche, uno si sveglia la mattina, decide di scrivere, a mezzogiorno ha già un libro (o sedicente tale) pronto e un editore (spesso da pagare), nel pomeriggio il volume è disponibile e alla sera l’autore se la tira a destra e a manca dicendo SONO UNO SCRITTORE. Un bello squallore. Il testo è al 99% illeggibile (per forma e contenuto), lo scrittore è un vanaglorioso e l’editore un incompetente. Fare le cose facili in questo senso è sinonimo di ignoranza culturale, di mancanza di esperienza vera, di gavetta. Oggi tutti pubblicano, è cosa facilissima. Ma cosa si pubblica? Theodore Sturgeon una volta disse che il 90 per cento di ogni cosa prodotta dall’uomo è cacca. Oggi la percentuale è aumentata. Smentitemi, vi prego.
"Il Nardoschio" (1989), lungometraggio di M. Tetro. |
M.T.: Per me è stato esaltante. Dopo il primo racconto pubblicato su OMNI fioccavano le richieste di interviste, sulla rivista si aprì una rubrica riservata agli scrittori italiani esordienti di fantascienza. Pensai che forse si stava inaugurando una scuola narrativa di fantascienza nostrana (ero un ignorante, c’era già, ma ancora non conoscevo troppo bene questo mondo). Alle Convention di Courmayeur e San Marino, che iniziai a frequentare, quasi tutti sapevano già chi ero. Quelle tre-giorni erano bellissime, poteva capitarti di fare colazione con Juan Gimenez, pranzo con Brian Aldiss, cena con Fred Pohl e una buona birra con Karel Thole. A quel tempo altri autori mi inviavano le loro opere in visione, il fatto che a 15 anni avessi diretto un corto in superotto mi procurò l’assurda nomea di “regista”. Entusiasta di poter essere considerato una specie di capofila delle generazioni più giovani, lessi molti racconti di esordienti italiani… e il sogno svanì presto. Li trovavo pessimi. L’idea buona non corrispondeva all’adeguato sviluppo narrativo e viceversa. Le Convention, a tutta prima eventi per me importantissimi, anche solo per stringere amicizie e conoscenze nell’ambito, già mostravano la corda, cominciando a implodere in se stesse, senza poter offrire reali sbocchi nel settore.
Intanto, la passione per il cinema e l’avvento del cyberpunk misero momentaneamente fine al mio fattivo interesse per la SF (mai venuto meno del tutto, intendiamoci… ma non si scriveva più la fantascienza che prediligevo). Girare un film era diventato il mio desiderio più grande, diressi un mattonazzo in VHS di due ore e mezza, con gli amici di sempre, recensito da CIAK (non benissimo, gli attori stessi si annoiavano a vederlo!), poi dalla sceneggiatura trassi tutta una serie di racconti.
A: Sembra interessarti molto anche il rapporto tra fantascienza letteraria e cinematografica. Hai al tuo attivo infatti tanti saggi sul cinema sci-fi, tutti scritti con Gian Filippo Pizzo e Roberto Chiavini, e più di recente l’interessantissimo Mondi Paralleli: storie di fantascienza dal libro al film (Della Vigna, 2011). Quest’ultimo analizza il rapporto tra opere letterarie e loro adattamenti cinematografici, grazie a quintali di brevi ma efficaci schede. Basandoti sull’esperienza accumulata, come valuti il rapporto tra opera letteraria di fantascienza e relativo adattamento cinematografico? Ci sono delle costanti in questo tipo di trasformazione? Gli avanzamenti tecnologici e stilistici raggiunti dal cinema odierno risultano secondo te utili per mettere in scena meglio di ieri le opere letterarie?Intanto, la passione per il cinema e l’avvento del cyberpunk misero momentaneamente fine al mio fattivo interesse per la SF (mai venuto meno del tutto, intendiamoci… ma non si scriveva più la fantascienza che prediligevo). Girare un film era diventato il mio desiderio più grande, diressi un mattonazzo in VHS di due ore e mezza, con gli amici di sempre, recensito da CIAK (non benissimo, gli attori stessi si annoiavano a vederlo!), poi dalla sceneggiatura trassi tutta una serie di racconti.
Il saggio Mondi Paralleli, di R. Chiavini, G.F. Pizzo e M. Tetro. (Della Vigna). |
M.T.: Inevitabilmente il cinema, che mi aveva introdotto alla SF con “2001”, doveva diventare mio interesse principale. La saggistica cinematografica prese il posto della narrativa, che però tengo a precisare essere ancora mia passione portante. Mi ritengo fortunato di poter appartenere ad una generazione che ha vissuto il giro di boa determinato dall’utilizzo in cinematografia di tecniche produttive sempre più sofisticate, cioè il passaggio tra un modo di fare cinema “classico” (raccontare una storia, soprattutto) ad uno “post-moderno” (visualizzarla, soprattutto). Avere una memoria storica cinematografica delle origini dei generi è un patrimonio prezioso, e commisero fortemente i giovani d’oggi che non ce l’hanno. Un genere come la fantascienza, prepotentemente “visivo”, avrebbe dovuto attingere appieno agli effetti speciali come “modo per raccontare una storia” ma in realtà oggi questi sono diventati “la storia”. Noiosamente ripetitivi. Sempre più sofisticati e sempre più senz’anima, a scapito del racconto, in sostituzione ad esso. Saranno almeno 15 anni che non trovo più un degno buon film di SF, a parte eccezioni limitatissime. Eppure esistono centinaia di buoni testi fantascientifici perfettamente adattabili per il grande schermo, anche se forse sfuggenti alle linee produttive di marketing che oggi la fanno da padrone. Scrivendo Mondi paralleli è stato necessario evitare di incappare nel facile corollario “libro sempre meglio di film” ma considerare la risultanza di una storia sviluppata da media differenti, e giudicarla sulla base di parametri specifici di entrambi. Faccio un esempio: non possiamo immaginare nulla di più diverso tra il libro Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugatski e il film ad esso ispirato, Stalker di Tarkovskij: eppure sono due varianti di storia egualmente straordinarie. Il film non tradisce il libro, pur essendo completamente differente in tutto: personaggi, ritmo, situazioni. In altri casi invece si ha un vergognoso travisamento dell’opera scritta, penso anche solo a Io sono leggenda diretto da Francis Lawrence, che sputtana completamente il bellissimo romanzo di Matheson, dando un senso al titolo ridicolmente sbagliato, molto superficiale anche secondo gli attuali standard hollywoodiani. Perciò l’unica costante che ritengo debba svilupparsi nell’adattamento cinematografico di un libro sia l’onestà spirituale con l’autore dell’opera scritta, anche quando si va a narrare una storia virtualmente diversa. Ricordate il Conan di Milius? Era forse fedele ai racconti di Howard? No di certo. Ma Milius aveva lo spirito di Howard, e dal film traspare… per questo ancora oggi lo amiamo. Ai nostri giorni non serve giovarsi esclusivamente di effettistica e nuove tecnologie per mettere in scena un racconto fantascientifico. Bisogna tornare a essere in grado di narrare storie, idee, concetti. La vera sfida è fare un film di fantascienza senza (troppi) effetti speciali, senza computer-graphics che la fa da padrona. E ci sono, quelle storie, da adattare… Alla fine, però, si gioca tutto sulle mode e sulla forma mentis dei produttori. Purtroppo.
Altrisogni n.5 (dbooks.it) |
M.T.: Non ci sono mai stato… ma lo conosco come le mie tasche. È perfettamente identificabile, non importa che tipo di film o telefilm stiate vedendo. Per me è stato uno dei primissimi ricordi d’infanzia come spettatore. Lo vidi per la prima volta nell’episodio di UFO “The Computer Affair”, anche se il più delle volte si trattava di un plastico, in cui si muovevano i mezzi della SHADO e giaceva l’UFO abbattuto. Doveva rappresentare una foresta canadese… le scene girate dal vivo mettevano in campo due extraterrestri in tuta rossa che ingaggiavano tra gli pini una sparatoria con gli uomini di Straker. Da piccolo, se ero in un bosco, mi figuravo gli alieni che sbucavano da dietro gli alberi, pronti a far fuoco. Black Park è davvero il Bosco dell’Immaginario… più che altro nelle nostre menti. Non so se vederlo dal vivo potrebbe offrire le stesse emozioni.
L'antologia Stirpe Infernale (GDS Edizioni) ospita 15 racconti a tema. |
M.T.: Ho avuto un periodo ‘diavolesco’. Tutto cominciò proprio col film che realizzai nel 1989, Il Nardoschio, la storia semiseria di un diavolo esiliato tra gli umani, con problemi esistenziali e pessimi rapporti col suo mondo demoniaco. Da quel lungometraggio (che sta ormai scomparendo dal nastro magnetico) trassi una saga di tre racconti ancora inediti, un play teatrale, un altro racconto, apparso su L’Eternauta, che si classificò al Premio Italia 1993, e quello che avete citato, più simile ad una barzelletta, privo dell’introspezione della trilogia originale. Tutti i racconti sono più o meno collegati tra loro. Dovrò metterci mano nuovamente, rispolverare e trovare un editore… Intanto devo pensare alla nuova edizione di Mondi paralleli, a Mondi paralleli – Weird, stavolta dedicato a film tratti da racconti o romanzi preesistenti di tipo horror sovrannaturale, a un saggio sul cinema western e probabilmente anche a un racconto dello stesso genere. Mi piacerebbe anche approntare un’antologia dei miei racconti di fantascienza… ho trascurato troppo il settore, è ora che vi ritorni.
A: Grazie per la tua disponibilità, Michele, e in bocca al lupo per i tuoi progetti futuri.M.T.: Ancora grazie a voi e ad Altrisogni… ci risentiremo!
A corredo dell'intervista, ecco la biografia di Michele Tetro su Wikipedia.
E'stato un piacere leggere le varie genesi dei volti di Michele Tetro nello Sci- fi e nel resto, sapevo anche quella del filmaker.
RispondiEliminaLa cosa che mi ha colpito sono i 12 anni di esordio, perché all'epoca non erano i 12 anni di oggi ma lui era più avanti.
Oltre ad essere un bravo scrittore e cultore del cinema con il casco d'astronauta, Tetro è un grande professionista e tiene moltissimo, come è giusto, all'editing dei libri.
Gli auguro di tutto il successo che merita e che prosegue tra l'altro, come quello che sta raccogliendo "Mondi Paralleli" che nel frattempo fa avanti e indietro nella mia borsa per la continua consultazione.
So Long Teater.
Stefano Jacurti